La concorrenza sleale per appropriazione di pregi
La fattispecie di concorrenza sleale nota come indebita appropriazione dei pregi di un concorrente
In tema di tutela contro la concorrenza sleale, il codice civile, all’art. 2598, disciplina alcune fattispecie di concorrenza sleale.
Tra le ipotesi previste dall’art. 2598 c.c. c’è quella dell’appropriazione dei pregi di un concorrente, che è definita al punto n. 2 dell’art. 2598 c.c., come quella condotta di chi “si appropria di pregi dei prodotti o dell’impresa di un concorrente”.
Definizione di appropriazione di pregi
L’appropriazione di pregi identifica un comportamento illecito che consiste nel trarre vantaggio dai pregi e dalle qualità dell’azienda, dei prodotti o dei servizi di un concorrente, presentandoli come propri.
Diversamente dall’imitazione servile, la fattispecie in esame compre uno spettro diverso e per certi versi più ampio, prescindendo dalla confondibilità e valorizzando lo sfruttamento di caratteristiche non solo distintive, ma che possono veicolare anche altri messaggi di un concorrente, come l’affidabilità, la storicità, i riconoscimenti ottenuti presso autorità o enti.
Quando la condotta finisce per creare un’associazione con l’impresa del concorrente si parla anche di agganciamento.
Cosa si intende per appropriazione
Per la configurazione della fattispecie in esame è essenziale che il pregio di cui ci si fregia non sia già una qualità di chi se ne appropria.
In altre parole, l’illeceità sta nel vantare qualità che non si hanno, perché altrimenti la condotta sarebbe lecita, salvo il caso in cui la presentazione di tale qualità venga fatta con modalità scorrette, sfociando in altre fattispecie illecite, come la pubblicità comparativa o ingannevole o l’agganciamento alla notorietà altrui e, in generale, la scorrettezza professionale sanzionata dal n. 3 dell’art. 2598 c.c..
Azioni legali
L’impresa che subisce un comportamento illecito di appropriazione di pregi da parte di un concorrente, potrà agire in giudizio chiedendo una pronuncia di inibitoria al fine di far cessare la condotta illecita e evitare la sua reiterazione in futuro.
Se da una parte si potrebbe provare l’esistenza della condotta appropriativa ed inibire al concorrente la prosecuzione del comportamento, ben più complicato sarebbe provare l’esistenza e poi la quantificazione del danno che tale condotta avrebbe provocato all’attività di impresa, al fine di fondare un’azione risarcitoria.
Infatti, la difficoltà sta nel provare la diminuzione patrimoniale o il pregiudizio subito dalla condotta altrui e, soprattutto, il nesso causale tra tale condotta illecita e il danno subito.
Ecco perché spesso ci si limita al procedimento cautelare e all’ottenimento di un ordine di pubblicazione del provvedimento che consenta all’impresa danneggiata dal comportamento concorrenzialmente illecito di informare il pubblico dei provvedimenti di condanna emessi dal Tribunale.
Così facendo viene riequilibrata la situazione e si rende noto che la condotta tenuta dal concorrente fosse illecita.