La concorrenza sleale per imitazione servile
Imitazione servile: definizione, presupposti di tutela e rimedi legali
Nell’ambito del diritto della proprietà industriale e della tutela contro la concorrenza sleale, il codice civile, all’art. 2598, disciplina alcune fattispecie di concorrenza sleale.
L’articolo 2598 c.c. costituisce l’espressione dell’illecito civile in ambito dei rapporti commerciali tra imprese. Questo significa che il principio del neminem ledere, enunciato all’art. 2043 c.c., è declinato dall’art. 2598 c.c. nell’ambito commerciale come un obbligo di condurre l’attività di impresa in modo corretto e conforme ai principi della correttezza professionale.
Tra le ipotesi previste dall’art. 2598 c.c. c’è quella dell’imitazione servile dei prodotti di un concorrente.
Definizione di imitazione servile
L’espressione imitazione servile è utilizzata nell’art. 2598 c.c. con riferimento alla imitazione pedissequa dei prodotti di un concorrente.
Seppure il testo della disposizione codicistica sanziona ulteriori condotte idonee a creare confusione con altri asset dell’impresa, quella dell’imitazione servile è espressamente riferita ai prodotti.
Le altre condotte confusorie che costituiscono illecito concorrenziale sono quelle in cui il concorrente usa nomi o segni distintivi idonei a creare confusione con i nomi o segni distintivi del legittimo utilizzatore, ovvero quelle attività idonee a creare confusione con i prodotti e con l’attività di un concorrente.
Tra le condotte confusorie che un concorrente può illecitamente intraprendere, quella dell’imitazione è pertanto riferita solamente ai prodotti.
Perché possa configurarsi l’illecito concorrenziale in parola, l’imprenditore che agisce ha l’onere di provare che i propri prodotti abbiano determinate caratteristiche che costituiscono il presupposto su cui si fonda la tutela contro l’imitazione servile.
Presupposti per la tutela contro l’imitazione servile
Per poter ottenere tutela contro l’imitazione servile è necessario che i prodotti imitati siano distintivi.
Ciò significa che il consumatore mediamente informato ed attento deve essere portato a riconoscere in quel prodotto un’origine imprenditoriale. Ossia, a causa della promozione pubblicitaria e delle modalità di vendita, il consumatore è abituato a vedere nella forma del prodotto il segno distintivo di un’impresa.
Non tutte le forme dei prodotti garantiscono la tutela contro l’imitazione servile.
Per giurisprudenza costante, infatti, la tutela contro l’imitazione servile riguarda quelle forme che non sono necessitate dalla natura stessa del prodotto nonché quelle rese necessarie dalla funzione del prodotto o da esigenze di carattere tecnico.
Saranno le forme “capricciose”, ossia quelle forme non banali, né ampiamente diffuse nel mercato relativamente a quello specifico prodotto, che potranno accedere a questo tipo di tutela e gli elementi del prodotto non funzionali.
Sarà onere di chi chiede l’accertamento dell’imitazione servile da parte di un concorrente provare che la forma del prodotto non è funzionale e ha acquisito carattere distintivo.
Resta onere del concorrente utilizzare varianti innocue alla forma del prodotto. Ossia quelle varianti che, se apportate, non inficiano la funzionalità del prodotto e allo stesso tempo consentono di adottare una forma diversa dal prodotto del concorrente.
Libertà di iniziativa economica e lealtà della concorrenza
Il principio della libertà di iniziativa economica, ossia della libera concorrenza è di natura costituzionale ed è espresso all’art 41 della Costituzione.
Ne deriva che la concorrenza è lecita perché favorisce il progresso e, in definitiva, sancisce la libertà di copiare. Difatti i diritti di esclusiva industriali costituiscono delle eccezioni a tale principio; eccezioni nate dall’esigenza di diffondere il progresso tecnologico (brevetti) e promuovere l’innovazione (design) e la qualità e gli investimenti delle imprese per i prodotti (marchi).
È opportuno però riconoscere l’esistenza di un impegno a carico del concorrente che lo obbliga a distanziarsi dalle forme dei prodotti concorrenti non imposte da necessità funzionali. Obbligo imposto dal principio della correttezza professionale: se da una parte la concorrenza è libera, dall’altra questa deve essere condotta in modo leale, senza arrecare danno agli altri.
Tracciare la linea di confine tra la libertà d’impresa e il dovere di non ledere gli altri è arduo compito rimesso alla giurisprudenza e alla dottrina, che devono adeguare la correttezza professionale all’evolversi del marcato e delle forme.
Appurata l’imitazione del prodotto di un concorrente, la forma non banale, provata poi la capacità distintiva della forma copiata, occorrerà valutare la confondibilità tra le due forme alla luce del ricordo del consumatore e del rischio di confusione tra i prodotti o associazione tra imprese.
Look-alike
Quando l’imitazione servile riguarda le confezioni dei prodotti (il packaging), si è soliti parlare di look-alike.
Questo fenomeno identifica quei comportamenti in cui nonostante siano apposti marchi diversi, si adottano confezioni simili, per forma, colore, foggia e/o grafica, tali da creare confusione sul mercato o, comunque, tali da diluire indebitamente la capacità distintiva di un packaging utilizzato da un’impresa.
Come per l’imitazione servile dei prodotti, non tutti i packaging possono essere tutelati. Non tutti i colori o le grafiche possono essere tutelati. Dipende dalla percezione che il consumatore ha sul mercato delle confezioni di quei prodotti.
Ad esempio una tavoletta di cioccolata di colore lilla non è usuale sul mercato. Non serve leggere il marchio.
Come pure non serve leggere il marchio di una confezione di pasta dal colore blu con un figura bianca e rossa ellittica, o meglio, non serviva perché ora queste confezioni sono state modificate.
Ancora, non serve leggere il marchio apposto su quel cioccolatino rotondo avvolto da una carta dorata e posato su di un pirottino di colore marrone
Non sempre le confezioni sono registrate come marchio, pertanto è tipica l’azione fondata sulla contestazione per imitazione servile delle confezioni di prodotti.
Azioni legali
L’impresa vittima di concorrenza sleale per imitazione servile, potrà agire in giudizio chiedendo una pronuncia di inibitoria al fine di far cessare la condotta illecita e evitare la sua reiterazione in futuro. Tali pronunce sono assiduamente assistite da una penale monetaria in caso di violazione del comando dell’Autorità giudiziaria.
Altre azioni esperibili sono il sequestro, l’ordine di ritiro dal commercio, la distruzione dei prodotti se ricorrono determinati presupposti.
Tra le più ambite richieste c’è quella della pubblicazione del provvedimento che consente all’impresa danneggiata dal comportamento concorrenzialmente illecito di informare il pubblico dei provvedimenti di condanna emessi dal Tribunale. Così facendo viene riequilibrata la situazione e si rende noto che la condotta tenuta dal concorrente fosse illecita.