Contratti di compravendita internazionale e le regole della Convenzione di Vienna del 1980
In tema di compravendita internazionale si dovrebbero preferire le regole della Convenzione di Vienna rispetto alla normativa nazionale.
La clausola contrattuale
“Si intendono espressamente richiamate le norme della Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale di merci e i principi Unidroit versione 2016”.
Preliminarmente si puntualizza che la Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale delle merci (Convention on Contracts for the International Sale of Goods – CISG) non deve essere espressamente richiamata in una clausola contrattuale, trovando applicazione automatica in determinati rapporti commerciali internazionali.
In particolare, la CISG si applica ai contratti di compravendita internazionale stipulati tra parti che hanno la sede principale dei loro affari in uno dei 94 stati sottoscrittori la Convenzione. La stessa Convenzione si applica anche a quei contratti che, secondo le norme di conflitto, sono regolati dalla legge di uno Stato sottoscrittore della Convenzione, in virtù del principio secondo cui la lex specialis prevale sulla lex generalis, come confermano sia la Convenzione di Roma del 1980 e sia il Regolamento di Roma I.
Opting out
Proprio in considerazione dell’applicazione automatica della Convenzione di Vienna, la clausola che più spesso si legge è quella che recita: “Al presente contratto non si applica la Convenzione di Vienna del 1980 sulla vendita internazionale delle merci”.
Questa clausola è espressione del c.d. opting out, ossia del diritto delle Parti di escludere l’applicazione della CISG, in modo che le uniche regole che disciplinano il contratto siano quelle della legge dello Stato scelta dalle parti.
Il prevedere espressamente l’applicazione della CISG può essere utilizzato anche nei rapporti interni. In tal caso le regole della CISG assumeranno il ruolo di clausole contrattuali integrative della volontà delle parti, che potrebbero meglio della legge interna regolare alcune ipotesi di stallo.
Principi Unidroit
Si è aggiunto anche l’espresso riferimento ai principi Unidroit, espressione della lex mercatoria, quali raccolte di usi e consuetudini. Gli usi, recepiti espressamente in contratto, divengono usi c.d. negoziali, che obbligano il giudice a tenerne conto nella sua decisione come espressione dell’intenzione delle Parti; decisione che si baserà comunque sulla legge che regola il contratto.
Diversamente sarebbe il caso dell’arbitrato internazionale che, come illustri commentatori affermano, potrebbe decidere la controversia sulla sola base della lex mercatoria.
In ogni caso, il punto è che introdurre riferimenti esterni può aiutare le parti a colmare lacune contrattuali e a regolare situazioni di conflitto non sempre oggetto di specifiche pattuizioni contrattuali.
Cosa si intende per merce viziata
Di regola nei contratti di compravendita o di produzione si disciplinano in modo dettagliato i criteri che definiscono un prodotto viziato o di seconda scelta. Ad esempio si impone il rispetto delle normative in tema di salute e sicurezza di un determinato Paese o gruppo di Paesi. Si prevede anche una disciplina ad hoc per l’approvazione di campioni, ovvero per l’espletamento di verifiche di conformità da eseguirsi presso enti certificati. Infine si regolano i rapporti tra le parti in caso di contestazione di difetti (es. sospensione dei pagamenti, obbligo di non ritardare la consegna di ulteriore merce, ripartizione dei costi del controllo in base all’esito di esso, etc.).
Ovviamente in un contratto si può parcellizzare ogni argomento e regolare ogni evento meglio di quanto la legge possa fare in via necessariamente generalizzata.
In difetto di una regolamentazione specifica, soccorre l’art. 1490 c.c. che dispone: “il venditore è tenuto a garantire che la cosa vendita sia immune da vizi che la rendono inidonea all’uso a cui è destinata o ne diminuiscano in modo apprezzabile il valore”. Quale sia il livello di inidoneità o l’ammontare della riduzione di valore, tali da poter considerare violata la garanzia, sarà argomento di discussione tra le parti.
L’art. 35 della Convenzione di Vienna del 1980 è il primo articolo della sezione che tratta della conformità delle merci. Il solo fatto che si discuta di conformità anziché di vizi della merce, rende di per sé più ampio lo spettro di possibilità che il compratore avrà di contestare l’inadempimento del venditore.
Ad ogni modo, l’art. 35 della CISG, forse meglio del codice civile italiano, definisce cosa si intende per prodotto viziato o, meglio non conforme, prevedendo che “il venditore deve consegnare merci la cui quantità, qualità e genere corrispondono a quelli previsti dal contratto, e il cui imballaggio e confezione corrispondono a quelli previsti dal contratto”.
Prosegue l’articolo precisando che si presumono conformi al contratto le merci che “a) sono atte agli usi ai quali servirebbero abitualmente merci dello stesso genere; b) sono atte ad ogni uso speciale, espressamente o tacitamente portato a conoscenza del venditore al momento della conclusione del contratto, a meno che risulti dalle circostanze che l’acquirente non si è affidato alla competenza o alla valutazione del venditore o che non era ragionevole da parte sua farlo; c) possiedono le qualità di una merce che il venditore ha presentato all’acquirente come campione o modello; d) sono imballate o confezionate secondo i criteri usuali per le merci dello stesso tipo, oppure, in difetto di un criterio usuale, in maniera adatta a conservarle e proteggerle”.
La denuncia dei vizi
Tra le differenze più immediate tra il codice civile italiano e la Convenzione di Vienna c’è quella tra gli artt. 1495 e 1511 del Codice Civile e gli artt. 38 e 39 della CISG.
L’art. 1495 prevede: “il compratore decade dal diritto alla garanzia se non denuncia i vizi al venditore entro 8 giorni dalla scoperta”; L’art. 1511 c.c. prevede: “nella vendita di cose da trasportare da un luogo ad un altro, il termine per la denuncia dei vizi [8 giorni] e dei difetti di qualità apparenti decorre dal giorno del ricevimento della merce”.
Gli artt. 38 e 39 della CISG recitano: “L’acquirente deve esaminare le merci o farle esaminare nel termine più breve possibile, considerate le circostanze. Se il contratto implica un trasporto merci, l’esame può essere differito fino al loro arrivo a destinazione. Le merci sono dirottate o rispedite dall’acquirente senza che questi abbia avuto ragionevolmente la possibilità di esaminarle e se, al momento della conclusione del contratto, il venditore conosceva o avrebbe dovuto conoscere la possibilità di tale dirottamento o di tale rispedizione, l’esame può essere differito fino all’arrivo delle merci alla loro nuova destinazione” e “L’acquirente decade dal diritto di far valere un difetto di conformità se non lo denuncia al venditore, precisando la natura di tale difetto, entro un termine ragionevole, a partire dal momento in cui l’ha constatato o avrebbe dovuto constatarlo”.
Ovviamente è opportuno che in un contratto sia previsto un diverso termine per la denuncia, nonché il fatto che il controllo qualità effettuato prima della spedizione della merce non ha valore di accettazione della merce viziata. Occorrerà anche sancire il fatto che il controllo effettuato dal compratore potrà essere eseguito a campione e che in caso di ritardo nella consegna della merce, potrebbe essere differito all’arrivo della merce al cliente finale.
In mancanza di espresse previsioni contrattuali che tengano conto delle problematiche dello specifico settore, la CISG attribuisce certo un più ampio respiro per la risoluzione di conflitti e, in definitiva, le sue regole rispecchiano meglio le reali problematiche.
Basti solo considerare che in ipotesi di applicazione della legge italiana, l’eccezione del venditore sarà sempre il ritardo nella denuncia da eseguirsi dopo appena otto giorni dalla consegna della merce ex art. 1511 c.c. e ciò anche se il quantitativo di merce da controllare è ingente. Evidentemente in questo caso si discute di vizi apparenti.
La conoscenza o conoscibilità dei difetti da parte del venditore
Altro interessante aspetto è quello legato alla conoscenza dei vizi da parte del venditore e alla conseguente non necessità della denuncia da parte del compratore.
La regola è espressione del principio secondo cui non è necessario denunciare al venditore un difetto della merce se questi ne era già a conoscenza.
Difatti, l’art. 1495 c.c. recita: “la denuncia non è necessaria se il venditore ha riconosciuto l’esistenza del vizio o l’ha occultato”.
L’art. 40 della CISG, aggiunge un ulteriore elemento rispetto alla sola conoscenza del vizio da parte del venditore che rende superflua la denuncia ed è la conoscibilità. Dispone infatti l’art. 40: “non può avvalersi delle disposizioni degli articoli 38 e 39 se il difetto di conformità riguarda fatti di cui era a conoscenza o non poteva ignorare e che non ha denunciato all’acquirente”.
Potrebbe sostenersi che il venditore abbia occultato il vizio nel caso di vizio palese e così tentare di sostenere che tutti i vizi palesi o apparenti potrebbero dirsi occultati. Si potrebbe anche giungere a creare un’altra categoria di vizi: quelli “assolutamente palesi” e tali da non poter essere ignorati.
Difatti si finirebbe comunque per discutere di buona fede, correttezza professionale e di diligenza dell’imprenditore esperto del settore.
In ogni caso, pare che la precisazione contenuta nella CISG possa tornare a vantaggio del compratore e, in generale, agevolare la prova sulla conoscenza o conoscibilità del difetto.
La garanzia del venditore contro le violazione dei diritti di proprietà industriale ed intellettuale
Comune nei contratti di compravendita è specificare che la merce acquistata non deve ledere diritti di terzi, compresi i diritti di proprietà industriale e, dunque, costituire contraffazione di marchi o disegni e modelli o usurpare i diritti protetti da un brevetto. Opportuno sarebbe precisare quale sia il mercato di destinazione di tali prodotti, specie se distinto da quello in cui l’acquirente ha la sede principale dei propri affari.
Infatti, se da una parte può darsi per presupposto che l’acquirente con sede in Italia rivenda i beni acquistati in Italia e in Europa, altrettanto scontato non sarà il fatto che tali beni siano destinati al mercato statunitense o ai mercati dell’estremo oriente, con la conseguenza che una clausola generica potrebbe non garantire il compratore dalla violazione di diritti di proprietà industriale esistenti in un paese diverso da quello in cui ha la sede principale dei propri affari.
Ad ogni modo, nel codice civile è prevista la garanzia per vizi ed evizione ed è tutt’altro che scontato che l’evizione, nel garantire il compratore da “diritti che un terzo ha fatti valere su di essa [NdR cosa]” (art. 1483 c.c.), possa ricomprendere anche i diritti di proprietà industriale.
L’art. 42 della Convenzione di Vienna del 1980 offre una specifica regolamentazione sul punto, sancendo che “il venditore deve consegnare le merci libere da ogni diritto o pretesa di terzi, fondati sulla proprietà industriale o altra proprietà intellettuale, di cui era a conoscenza o che non poteva ignorare al momento della conclusione del contratto …” e precisando che tali diritti di proprietà industriale ed intellettuale potrebbero essere oltre a quelli oggetto di tutela nello stato in cui il compratore ha la sede principale dei suoi affari, anche quelli tutelati da una “legge dello Stato nel quale le merci devono essere rivendute o utilizzate, se le parti hanno considerato al momento della conclusione del contratto che le merci sarebbero state rivendute o utilizzate in questo Stato”.
Rimedi contro l’inadempimento per aver consegnato merce viziata
In caso di violazione della garanzia per vizi da parte del venditore, l’acquirente potrà “domandare a sua scelta la risoluzione del contratto ovvero la riduzione del prezzo, salvo che, per determinati vizi, gli usi escludano la risoluzione”, oltre a chiedere la condanna del venditore al risarcimento dei danni.
Nei rapporti di compravendita tra imprese, in cui si acquistano beni o materie prime per essere incorporati in altri o per essere rivenduti, l’interesse dell’imprenditore che acquista non è quello della risoluzione del contratto o della mera riduzione del prezzo. Pur se la legge impone al venditore di risarcire i danni, nella pratica ciò non risponde all’interesse dell’imprenditore che dall’inadempimento del venditore potrebbe subire ingenti danni di immagine commerciale difficili da provare e, comunque, quantificare.
Per tale motivo in sede di redazione di un contratto si dovrebbe dare spazio a condizioni che impongano le parti a collaborare per risolvere la problematica portando al centro l’interesse a non bloccare la produzione, risolvere nel modo più veloce la problematica e proseguire nel rapporto.
Diritti dell’acquirente
Uno spunto di riflessione nella redazione di clausole contrattuali più dettagliate è offerto dall’art. 46 della CISG che, tra le altre cose, prevede che “l’acquirente può esigere che il venditore ponga riparo al difetto di conformità”, ma non “può esigere dal venditore la consegna di altre merci in sostituzione a meno che il difetto di conformità costituisca un’inosservanza essenziale del contratto”. Inoltre, “l’acquirente può fissare al venditore un termine supplementare di durata ragionevole per l’adempimento dei suoi obblighi” e “l’acquirente non può, prima dello scadere di tale termine, avvalersi di nessuno dei mezzi di cui dispone in caso di inosservanza del contratto. Tuttavia, l’acquirente non perde, per questo, il diritto di richiedere danni-interessi per ritardi nell’esecuzione”.
Ci si sofferma solo su un punto che costituisce espressione dell’esecuzione del rapporto in buona fede e dell’intento della CISG di perseguire la cooperazione e collaborazione tra le parti: il compratore che attribuisce al venditore un termine ragionevole per porre rimedio al proprio inadempimento non perde il diritto di richiedere i danni per la ritardata esecuzione.
Nel caso di concessione di un termine, ci si trova di fronte a pretestuose eccezioni da parte del venditore volte ad attribuire alla condotta del compratore, intento a risolvere la problematica e così completare la produzione, un significato di accettazione del ritardo o dei difetti ed accollo dei conseguenti rischi. Questo comportamento denota una scarsa professionalità del venditore e inficia irrimediabilmente le relazioni commerciali, che non possono che sfociare in contenziosi.
Diritti del venditore
L’art. 49 della CISG attribuisce anche al venditore il diritto di porre rimedio al proprio errore sancendo che egli possa“, anche dopo la data della consegna, porre riparo, a sue spese, a qualsiasi mancanza ai suoi obblighi, a condizione che ciò non comporti un ritardo irragionevole e non causi all’acquirente né inconvenienti irragionevoli, né incertezze per quanto riguarda il rimborso, da parte del venditore, delle spese sostenute dall’acquirente”.
Ciò impedisce che l’acquirente possa approfittare dell’errore altrui risolvendo il contratto, annullando l’ordine ed imputando al venditore ingentissimi danni e tanto è vero che l’articolo prosegue prevedendo che “Se il venditore chiede all’acquirente di comunicargli se accetta l’adempimento e se l’acquirente non gli risponde entro un termine ragionevole, il venditore può adempiere ai suoi obblighi entro il termine da lui indicato nella domanda. L’acquirente non può, prima della scadenza di tale termine, avvalersi di un mezzo incompatibile con l’adempimento da parte del venditore dei suoi obblighi”.
Queste clausole testimoniano una maggiore aderenza a ciò che comunemente accade nei rapporti commerciali e meglio si adattano alle esigenze delle parti, per tale motivo le clausole della CISG possono meglio regolare sia i rapporti di compravendita internazionale di merci, che quelli domestici.
Il dovere di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto
Le clausole qui indicate danno contezza della migliore opportunità di regolare i rapporti di compravendita di merci con clausole che premiano la collaborazione anche oltre quel normale dovere di correttezza nell’esecuzione del contratto sancito dalla giurisprudenza italiana, sanzionando l’inerzia e le condotte ostruzionistiche della parte non inadempiente.
Evidentemente questi sono principi comuni a tutti gli ordinamenti giuridici, ma a parere di chi scrive, la Convenzione di Vienna del 1980 meglio esprime il perseguimento di tali principi:
art. 1227 c.c.: “Il risarcimento non è dovuto per i danni che il creditore avrebbe potuto evitare usando l’ordinaria diligenza”;
art. 77 CISG: “La parte che invoca l’inadempienza del contratto deve prendere misure ragionevoli, considerate le circostanze, al fine di limitare la perdita, ivi compreso il mancato guadagno, dovuto all’inadempienza. Se tralascia di farlo, la parte in difetto può chiedere una riduzione dei danni-interessi pari all’ammontare della perdita che avrebbe dovuto essere evitata”.