Keyword advertising e contraffazione di marchio
Si può usare come keyword una parola corrispondente al marchio altrui ?
Negli ultimi anni si sono intensificate le pronunce della Corte di Giustizia dell’Unione Europea e dei tribunali nazionali in tema diritto industriale relativamente alla contraffazione di marchio e concorrenza sleale per l’uso di segni distintivi di terzi come keyword advertising, nell’ottica di SEO, marketing e in generale di promozione pubblicitaria di un’attività commerciale.
Tra queste vale la pena ricordare le più note pronunce della Corte di Giustizia dell’Unione Europea rese nelle cause Google vs Luis Vuitton UE, Portakabin, L’Orèal vs eBay e Interflora. Cause che sono state ampiamente dibattute negli scritti che si occupano di proprietà intelletuale.
Le problematiche che tali pronunce hanno trattato, e che tutt’ora sollevano, riguardano la possibilità di configurare una contraffazione in ipotesi di suo del marchio altrui in funzione di meta-tag, keyword o nome a dominio, nonché nella responsabilizzazione di coloro che consentono tali usi, come Google che offre il servizio di AdWords.
Volendo solo sensibilizzare sull’argomento, si sottolinea che è consolidato quell’indirizzo secondo cui costituisce contraffazione di marchio l’uso dello stesso come keyword o meta-tag da parte di soggetto non autorizzato, qualora però tale uso possa compromettere una delle funzioni del marchio: provenienza, investimento e pubblicità.
Perché possa ritenersi illecito l’uso del marchio altrui come parola chiave è dunque necessaria la violazione di una delle funzioni che la legge e la giurisprudenza attribuiscono al marchio.
Ciò può accadere quando l’uso concreto che si fa del marchio altrui non consente o consente soltanto difficilmente all’utente della rete (normalmente informato e attento) di sapere se i prodotti o i servizi cui l’annuncio si riferisce provengano dal titolare del marchio, da un’impresa ad esso collegata o da un terzo.
Quando si ha a che fare con un marchio rinomato, poi, la valutazione si arricchisce di ulteriori elementi, come il comportamento parassitario, pur se non confusorio del terzo, e il rischio di pregiudizio alla notorietà del marchio (i.e. dilution by blurring or tarnishment).
Per dare un esempio di uso lecito del marchio altrui, nel caso Interflora la Corte di Giustizia dell’Unione Europa ha ritenuto che l’uso della parola “Interflora” da parte di un concorrente nel servizio AdWords di Google non costituisse un illecito, perché tale uso non poteva configurarsi come una semplice imitazione, non provocava una diluzione, né arrecava pregiudizio alle funzioni del marchio.
Il rapporto di concorrenza giustificava l’uso del marchio altrui con quelle modalità, anche se ciò avrebbe comportato per il titolare del marchio l’obbligo di dover pagare un prezzo più alto per poter utilizzare la parola che rappresentava il proprio marchio.