Genitori condannati per diffamazione. Non è esercizio del diritto di critica utilizzare espressioni offensive verso l’insegnante.
Nel procedimento penale per diffamazione a carico dei genitori di un alunno delle scuole superiori, affetto da Disturbo Specifico dell’Apprendimento, gli avvocati dello studio Torresi & Associati hanno difeso dinanzi il Giudice di pace di Macerata la parte offesa, insegnante di lingua straniera, accusata ingiustamente dagli imputati di non essersi attenuta alla normativa e alle linee guida in materia di D.S.A. non per disattenzione o negligenza, ma addirittura per la volontà manifesta di danneggiare il proprio figlio e di aver attuato in danno di quest’ultimo una condotta fortemente vessatoria.
In tali condotte l’insegnante sarebbe stata agevolata da una condizione di asserita impunità e tutela assoluta da parte del dirigente scolastico. Le accuse erano state esternate dagli imputati in una lettera dagli stessi stilata e sottoscritta, inviata per p.e.c. al Dirigente Scolastico e al Ministero della Pubblica Istruzione.
Le accuse erano state esternate dagli imputati in un “reclamo formale” da essi stessi stilato e sottoscritto, inoltrato via pec con la dizione “riservato” alla pec istituzionale del Dirigente Scolastico e del Ministro della Pubblica Istruzione.
Secondo la tesi difensiva degli imputati, all’espressione “riservato” usata nella pec doveva riconoscersi valenza di scriminante, o rilievo ai fini di una pronuncia di assoluzione con formula “il fatto non costituisce reato”.
Tale argomentazione è stata però disattesa dal Giudice il quale, accogliendo la tesi degli avvocati della parte civile, ha evidenziato che la pec in questione non solo conteneva un atto formale che non poteva restare relegato nella sfera privata del Dirigente e del Ministro, ma era stato inoltrato a due pec istituzionali; cosa che aveva determinato la conoscenza e la conoscibilità del reclamo da parte non solo del Dirigente e del Ministro, ma, prima ancora, anche da parte del personale addetto all’apertura, alla lettura ed allo smistamento delle pec.
Tale pronuncia è assolutamente in linea con la recentissima sentenza n. 34831/20 della S.C., che si segnala, secondo cui “in tema di diffamazione, l’utilizzo della posta elettronica non esclude la sussistenza del requisito della comunicazione con più persone anche nell’ipotesi di diretta ed esclusiva destinazione del messaggio diffamatorio ad una sola persona determinata, quando l’accesso alla casella mail sia consentito almeno ad altro soggetto, ai fini della consultazione, estrazione di copia e di stampa, e tale accesso plurimo sia noto al mittente o, quantomeno, prevedibile secondo l’ordinaria diligenza”.
Si è poi contestato che potesse costituire una scriminante l’esercizio del diritto di critica invocato dagli imputati.
I genitori avevano infatti denunciato nel loro reclamo che l’insegnante aveva sistematicamente omesso di adottare nei confronti del loro figlio gli strumenti dispensativi e compensativi asseritamente previsti dalla normativa per i soggetti DSA, senza allegare alcun fatto concreto a supporto delle loro accuse. Accuse che erano ispirate da una interpretazione assolutamente personale della normativa, non condivisa dallo stesso consulente degli imputati.
Come ha accertato il Giudice, la critica appariva funzionale non ad una corretta applicazione della normativa e delle linee guida in materia di D.S.A., quanto piuttosto a denunciare che non si facesse quello che gli imputati di volta in volta chiedevano per il loro figlio.
Per tale motivo i medesimi imputati hanno confezionato una teoria ad hoc in base alla quale l’insegnante era animata dal preciso proposito di vessare un minore in difficoltà, con lo scopo di danneggiarlo, giovandosi del clima di impunità che, a detta dei medesimi accusatori, regnava nella scuola, colpevole anch’essa di non aver voluto attuare la normativa secondo le loro personali interpretazioni.
Il Giudice ha quindi riconosciuto che le esternazioni in parola avevano una carica offensiva per la reputazione dell’insegnante, perché, oltre a non essere supportate da fatti concreti e/o fondati, nulla avevano a che vedere con l’esercizio di un legittimo diritto di critica, ma apparivano ictu oculi volte a denigrare, dinanzi a più soggetti, la moralità e la dignità umana e professionale dell’insegnante.
La sentenza ha condannato gli imputati e confermato la natura diffamatoria della comunicazione che non risultando funzionale alla critica perseguita, trasmondava ingiustificatamente nell’offesa ad personam.